roberto
maggioni spazio autori
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ama, stai leggero e sii chi sei... sei solo di passaggio
Scrivere è l’ultima cosa che credevo di poter fare. Sono stato etichettato come dislessico durante le scuole dell’obbligo, le mia difficoltà con le parole e la grammatica sono state ampiamente sottolineate dagli insegnanti, i contenuti dei mie scritti ritenuti incomprensibili. Ma a me pareva il contrario: trovavo incomprensibile ciò che mi veniva proposto dal senso comune. Una società priva di pace nel cuore mi proponeva il sistema come la cosa giusta. Vedevo persone vivere per lavorare, accumulare, costruirsi dei volumi di mattoni da abitare, sposarsi e figliare, ammalarsi e poi morire lasciando qui quello che avevano così duramente guadagnato. Tutto questo per me non ha mai avuto senso: loro non avevano trovato nessuna pace, li vedevo morire con la paura negli occhi e il rammarico nel rendersi conto di non avere altre possibilità, eppure sostenevano che era la cosa giusta da fare. Per anni ho provato a seguire il loro esempio, constatando che potevo effettivamente conformarmi a esso, ma il mio cuore non era lì. Ho sempre mantenuto una porta d’attenzione aperta verso la possibilità che ciò che mi veniva proposto non fosse l’unica realtà, ed è proprio varcando tale porta che ho incontrato quello che viene definito percorso spirituale. Ho cominciato con il training autogeno a tredici anni quando mia madre, di fronte alle mie domande, alle quali non sapeva dare risposta, mi indirizzò da un’amica psicologa che praticava approcci alternativi. Da allora non ho mai smesso di frequentare, curiosare, lasciarmi affascinare dagli strumenti concernenti il conoscere se stessi. Attualmente partecipo a gruppi e sessioni individuali con Hedda Kohler, helper del sentiero. È stata lei a invitarmi a scrivere del momento di trasmutazione che stavo attraversando nel 2009. L’ho fatto senza pensarci troppo: era solo una cosa che doveva servire a me, una cosa privata, ma è stato proprio in questo passaggio che sono morto e rinato senza lasciare il corpo fisico, che ho finito un’incarnazione e ne ho incominciata un’altra. Ho memoria di tutta la mia vita fino ad allora, ma è solo una memoria, tant’è che Semi nuovi si può definire un memoriale scritto per aiutarmi a lasciare andare il mio ormai consumato vivere e armonizzarmi con il nuovo. È un processo alchemico ancora in essere, ma avvenuto per la maggior parte nei due anni trascorsi in solitudine nella casa nel bosco in cui, durante la scrittura del libro, ho riordinato il nuovo senso di me che percepisco. Passato qualche mese, dopo la prima stesura, rileggendolo mi sono trovato di fronte a una considerazione poco piacevole: lo scritto era pieno del mio ego! Non mi soddisfaceva per niente. Dopo aver fatto del lavoro introspettivo, l’ho riscritto nuovamente con una qualità per me inconsueta L’immersione nel processo creativo dello scrivere è stata un orgasmo di vita, il picco più alto in cui mi sia avvertito. Entravo e uscivo continuamente da dimensioni differenti ma collegate tra loro, mi portavo in presenza di nuovi spazi mai esplorati, ero fuori dal tempo lineare, passavano giorni in cui mi dimenticavo di mangiare, dormire o cambiare posizione. I personaggi del libro riprendevano forma e interagivano, portando a compimento gli insegnamenti iniziati durante il mio viaggio. Semi nuovi si origina da un centro che non viene mai perso durante tutta la narrazione, è lampante a chiunque lo legga, mentre nel raccontarmi io mi perdo e ritrovo continuamente... tanto che ci sarebbe da chiedersi chi l’abbia scritto veramente. Ancora non l’ho pienamente compreso, ma questa stesura estemporanea è ciò a cui co-partecipo.
brani tratti da Semi nuovi
13 marzo 2009, Saronno
SMASCHERE
Sono fermo di fronte ai binari della stazione di Saronno, attendo il Malpensa-Express, direzione aeroporto. Ho ancora addosso la sensazione dell’abbraccio di mia madre appena salutata. Da pochissimo apprezzo il suo accogliermi e non ancora pienamente.
Lo so, sembra stupido e forse lo è. Qualcosa, un’apparenza proiettata al di fuori di me, mi tiene lontano dal sentire le emozioni del mio cuore nel relazionarmi alla vita e agli altri. Che cos’è? È una maschera con cui travesto le mie debolezze affinché gli altri non le giudichino. Apparentemente va sempre tutto bene, mi mostro forte e capace mentre so di non esserlo. Una grande finzione che cela fragilità. Mascherato creo, costruisco, strutturo, instauro una fitta rete di situazioni e interpreto ruoli. Il vivere creato da questa immagine fittizia appartiene alla mia maschera, non a chi sono veramente. Non lascia pace al suo passaggio, mi attraversa senza riempirmi. Lotto. Tenuto per il collo, schiaffeggio quel vivere allegorico: «Dimmi la verità!». Ma non la sa. Per sopravvivere mi promette che nel futuro me la svelerà, bisbiglia che succederà... ma è solo un’illusione. Posso continuare questo scontro all’infinito, a tratti posso credere di essere chi domina, ma non riuscirò ad avere la risposta alla quale anelo per il semplice fatto che quel vivere non esiste. È un frenetico tentativo di afferrare una verità ultima, un essere in pace in un luogo che ne è sprovvisto, lasciandomi continuamente un’insoddisfazione latente. Per molto tempo mi sono identificato a tal punto nella maschera di me stesso da abbracciare l’illusione di essere veramente io quell’insieme di pensieri-convinzioni-atteggiamenti carnevaleschi. Ne conosco gusti, atteggiamenti, pause, sospiri, gestualità. Li ho acquisiti praticandoli nel tempo. Ignoro, però, quelli dell’attore che interpreta il personaggio. Chi c’è dietro quella maschera? Com’è abitare un vivere smascherato? Questo mio scrivere è il racconto della verità che mi appartiene oggi, nel mio essermi risvegliato, nell’essermi ricordato chi sono e come la Vita mi ci
ha accompagnato. Con magia mi ha preso per mano e portato a trovare risposte alle mie domande: eventi, coincidenze, incontri, mancanze, intuizioni, messaggi e tutto il resto. Un dispiegarsi perfettamente contemplato in una matematica universale che si adopera per soddisfare il mio chiedere.
Chi sono veramente?
Questa è la domanda che mi sono posto due anni fa in procinto di partire per il Brasile, in un momento di disperazione. Altre volte, in passato, questo quesito aveva bussato alla mia mente senza esser preso seriamente. Forse perché in quelle occasioni m’interrogavo dalla qualitàessenza della maschera. Ero il signor TuttoBene: fintamente spettinato, ciuffo ingellato e ad hoc posizionato, abbronzato, col sorriso impostato e vestito coordinato, mai con lo sguardo impreparato e nelle maniere ben educato, permaloso se criticato, altezzoso quando contestato.
Da lì m’interrogavo su chi fossi veramente, vibrando della mia stessa qualità fittizia, movendo forze im- pregnate di paura e arrivando a illusorie risposte. La disperazione è un ottimo momento per fare domande.
Quando siamo in questa condizione profonda – non nel dolore – è presente una vibrazione che la maschera non può reggere, celebriamo una verità più alta e quello è il momento in cui la domanda diviene preghiera.
Vola alta, dispiegando le sue forze creative, affinché voi facciate l’esperienza della risposta; siete collega- ti a essa. «Divieni la domanda e sarai la risposta». Qualcosa comincia a muoversi in modo diverso intorno. All’inizio è difficile esserne consapevoli, ma pian piano la certezza di essere guidati a questa scoperta aumenta in modo naturale, divenendo una nuova compagna che traccia la via.
Mentre mi sta capitando spesso non me ne accorgo: addirittura mi sta succedendo mentre io continuo a cercare quello che già sta avvenendo. Nel dicembre 2007 in balia di questo interrogativo – chi sono veramente – partivo per un viaggio in Brasile, a Florianópolis, chiamata anche Floripa, a sud di San Paolo.
Perché proprio lì? Una distrazione. Sì, proprio così. In quei giorni stavo pensando con Lei, la mia compagna (mi piace scriverLa maiuscola, perché l’amo), dove andare in vacanza.
Al lavoro, conversando, un cliente mi nomina questo posto. A cena ne parliamo e... sorpresa! Anche a Lei, lo stesso giorno, avevano parlato di Florianópolis. Coincidenza?!
Senza prenderci troppo sul serio e senza controllare nemmeno dove fosse di preciso, decidiamo con leggerezza di prenotare un volo. Poi si vedrà. Uno di quei rari momenti in cui sono distratto dal tentare di controllare, documentarmi e valutare: una leggera distrazione e via. Prenotato!
2-12 giugno 2008, Florianópolis, Brasile
DIARIO
Sono in volo per San Paolo dove ho la coincidenza per Floripa. Mi sento passeggero della vita, mi lascio condurre. Sono fortunato o forse sono disponibile e attento al vivere.
Ammesso che incontrerò la donna come mi è stato indicato, cosa devo dirle? È il mio coniglio bianco? Devo seguirla? Il mio coniglio bianco è figlio del film Matrix.
Neo – il protagonista – riceve un misterioso messaggio sullo schermo del pc. «Svegliati, Neo... Il sistema ha te... Segui il coniglio bianco. Toc, toc». Bussano alla porta. Lo invitano a una festa, sta per non accettare, quando si accorge del coniglio bianco tatuato sulla spalla della ragazza. Coincidenza! La segue e da lì in poi una serie di vicissitudini lo porta a cogliere nuove verità.
Quindi... osservo e attendo il mio Bianconiglio! Mattina di sole a Praia Mole. Una donna fa Tai Chi sulla spiaggia, si muove con un’armonia sorprendente, ci siamo solo noi. Lo colgo come un suggerimento e la imito a distanza inventando le movenze. Ho i piedi nella sabbia e sento muoversi la mia energia.
I momenti passati in pousada sono silenziosi: niente tv, niente musica, solo con il mio sentire e la natura che mi avvolge. Sento i pensieri rallentare ed essere meno caotici, si calmano.
Come al solito quando arrivo qui ci vogliono due giorni per entrare in sintonia con la vibrazione di questo luogo. Spesso il mio cuore va a Lei. Avvertirne la mancanza è intenso e sento che mi piace, che la voglio. L’immagine di Lei che mi bacia e mi sussurra «Brava vero?» ancora mi eccita. Impossibile rallentare l’energia di quel ricordo erotico, me lo godo, mi diverte e ha il sapore della nostra complicità.
A colazione, al Café Cultura con Maghy, incontro una donna. Ha l’aria di chi sta andando per prati a raccogliere margherite: pare essere capitata in questo mondo per sbaglio e che cerchi una porta per uscirne, da molto tempo, circa cinquant’anni.
Maghy me la presenta, è una sua amica, Paula. Il seguire della conversazione è una serie di coincidenze becchine che sotterrano il dubbio se sia pro- prio lei la donna che attendevo d’incontrare. Conosce Maghy. È una cliente di Rossi. È la proprietaria della pousada dove alloggio: è lei il mio Bianconiglio!! Paula parla un ottimo italiano e al mio condividere che sono lì per incontrarla non manca di rispondere che è felice e disponibile, come se mi aspettasse. Nei saluti aggiunge un invito, vuole farmi conoscere le figlie. A cena incontro Nati, 16 anni, una indaco giovane e bellissima... una di quelle persone alle quali nessuno riesce a dire no! «I bambini indaco vengono così chiamati per il colore della loro aura che, appunto, ha un colore blu violaceo. Sono i bimbi del nuovo mondo, arrivano con una consapevolezza che guida, ricchi di creatività e un senso di regalità che mettono in tutto quello che fanno. Frequentemente incompresi, sottolineano il loro stato presentando atteggiamenti, appa- rentemente, indecifrabili». (L. Caroll, J. Tober, I Bambini Indaco, Macro Edizioni 2003) Io e Nati ci riconosciamo subito; intensità! Mentre mi siede accanto sento i suoi pensieri muo- versi e la invito: «Se vuoi sapere qualcosa, chiedi».
due chiacchiere con l’autore
Semi nuovi è una sorta di diario del tuo risveglio, ma com’era la tua vita prima?
Una normale vita che scorreva tra alti e bassi, con prevalenza dei primi, direi. Mi sono molto divertito, ho lavorato tanto, risparmiato poco e fatto quello che potevo, come tutti, credo. Correvo come un matto per sistemare cose che non stavano insieme, pensavo: «Appena finisco l’inserimento del nuovo personale sistemo quella questione spinosa con il commercialista e poi raggiungo il fatturato programmato e... domani dedico la serata a noi». Ero completamente fuori tempo rispetto alla pulsione spontanea che fa crescere i fiori, muovere le nuvole e battere il cuore. Avevo più bisogni che energia per soddisfarli. Ero uno schiavo!
Cosa è cambiato e cosa è rimasto invariato della tua esistenza?
È cambiata la mia relazione con la Vita. È rimasto invariato il modo in cui intingo i biscotti nel tè, mi passo il filo interdentale, faccio la pipì, scrivo il mio nome sui documenti... piccole cose insomma. Per il resto vivo un’altra esistenza, meno personale e più in stato di presenza: tutto si origina da un senso di me centrale rispetto a qualsiasi altra cosa.
The Pathwork, meditazione vipassana, corenergetica, bioenergetica, reiki, sono solo alcune delle esperienze alle quali hai partecipato; puoi raccontarci le tappe essenziali del tuo percorso di crescita spirituale?
Questi approcci sono strumenti attraverso i quali esploro e conosco la mia umanità in un percorso di consapevolezza; ho sempre e solo colto il mutare del mio aspetto umano, mai del mio spirito. Lo spirito è, non muta né cresce. I momenti significativi hanno avuto il comune denominatore di essere esperienziali e non al riparo di concetti o falsi saperi.
Come si svolge il lavoro su di sé guidato da Hedda Kohler, helper del sentiero che segui da diversi anni?
Si svolge durante sessioni individuali e di gruppo, in ritiri di tre giorni. Il gruppo è un grande contenitore con cui confrontarsi, non lascia adito a racconti o modo di nascondersi dietro concetti spirituali, portando alla luce aspetti ostici che rilasciano energia. La sessione individuale è l’occasione per un lavoro raffinato che armonizza queste energie nell’essere.
Parlaci della tua attività di Rebirther, come ti sei avvicinato a questa tecnica e a chi la consiglieresti?
Mi sono avvicinato al Rebirthing per curiosità e l’ho sperimentato personalmente, trovandolo uno tra gli strumenti più semplici ed efficaci del panorama attuale. Durante una sessione di respiro circolare emerge ciò che sei veramente in quel momento. La consiglio a chi avverte il proprio respiro come non fluido, mancante. Viviamo tra due respiri: il primo e l’ultimo; ma sovente non viviamo pienamente proprio ciò che il respiro stesso ci segnala.
Il percorso di crescita personale dovrebbe essere un’evoluzione continua; attualmente su quale aspetto di te stai maggiormente lavorando?
Un aspetto che necessita d’attenzione e di risposte è l’amore nella carne: come si praticano l’amore e la sessualità nella relazione? La modalità ordinaria non concerne minimamente con il mio attuale essere: mi sto interrogando partendo da un punto zero, privo di preconcetti e peccati per capire chi sono e andare oltre quella che mi è stata presentata come la relazione giusta.
Come è nata l’idea di Casa Oradoro, open-house nei boschi delle Cinque Terre, e con quali finalità?
Casa Oradoro è stata lo sfondo del mio scrivere quando sentivo che dovevo dare vita a Semi nuovi ma ancora non avevo alcun progetto per il futuro: lo interrogavo continuamente mentre, senza saperlo, c’ero seduto sopra già da un anno. L’idea di Casa Oradoro come luogo d‘accoglienza per chi stesse attraversando momenti di risveglio o volesse del tempo per riscoprirsi nella propria individualità, in un abbraccio con se stessi, era lì da sempre, non è servito nemmeno che la pensassi, l’ho esternata semplicemente come un’ovvia soluzione.
Pensi di scrivere presto un altro libro? Di cosa tratterà?
Quando ho scritto Semi nuovi le cose che avevo da dire erano così vibranti che non stavano nelle parole, tant’ è che ne ho deformate alcune nei caratteri. Se mi ricapiterà, scriverò di nuovo. Ho sognato di scrivere un libro a quattro mani, un’esperienza autentica tra un uomo e una donna nuovi che la raccontino nudamente, mentre la vivono, lasciandosi impollinare dal succedere stesso e inventando un nuovo paradigma amoroso.
roberto maggioni è nato a Desio il 12 aprile 1972. Ha svolto diversi lavori che ormai attribuisce a una sua vita precedente. Attualmente vive nei boschi delle Cinque Terre e gestisce Casa Oradoro, open-house in località Cavarezzo (Zignago, Sp). Semi nuovi è il suo primo romanzo.
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